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Pensieri e riflessioni sul progetto in Afganistan

Anisa Vokshi – Direttore Territoriale Sud Est Asia e Afganistan CIAI

Il progetto Atfal in Afghanistan ci ha posto di fronte ad una delle sfide più difficili da affrontare: occuparsi di bambine e bambine che hanno pochissime possibilità di costruire un futuro migliore. Bambine e bambine che hanno violato la legge in Afghanistan, in uno dei peggiori posti al mondo in cui essere oggi bambino.

Le loro storie sono storie di discriminazione, di violenza e di povertà. Sono storie di ragazze scappate di casa per fuggire da un destino segnato e per questo colpevoli di crimini morali già a 12 anni. Sono storie di bambini e ragazzi, figli disperati di famiglie disperate, ladri di mele nei mercati. Storie di brevi vite nate e cresciute nel conflitto, circondate da violenza e che solo con violenza sanno interagire. Sono storie di volti spaventati, smarriti o arrabbiati. Sono storie di piccole persone che hanno un tremendo bisogno di aiuto. Con il progetto Atfal siamo stati al loro fianco e stiamo lavorando per continuare ad esserlo.

Il nostro è stato un lavoro di cucitura, di riparazione. Abbiamo lavorato per rammendare come si fa con un ago e un filo, le storie dei bambini e delle bambine dei carceri minorili di Kabul e Herat. Abbiamo messo a disposizione avvocati , psicologi e assistenti sociali. Abbiamo garantito un equo processo ed evitato che questi ragazzi e soprattutto le ragazze, diventassero vittime di un di un perverso e sbagliato sistema di “giustizia tribale”che ancora si erige a giudice di “offese alla morale”. Abbiamo ricucito come si fa con due pezzi di stoffa, i rapporti tra questi ragazzi e le loro famiglie, madri, padri, fratelli e sorelle. Abbiamo formato giudici e membri delle forze di polizia, che spesso, molto spesso, si sentono membri delle forze dell’ordine morale e non di quello legale: “Siamo in Afghanistan!”- dicono. La partita per una giustizia minorile degna di questo nome, si gioca nei quartieri, nelle case, tra le stradine degli insediamenti di fango costruite dai profughi interni che scappano ancora oggi dagli scontri tra esercito regolare e ribelli taliban. Non si tratta solo di occuparsi di ragazzi e ragazze in conflitto con la legge, si tratta di lavorare per far si che questa generazione non cada preda della violenza e dell’ignoranza e che inizi a coltivare i semi della pace da tempo inseguita.

Grazie al supporto di Prosolidar, abbiamo garantito assistenza legale prima e durante il processo ai tutti i ragazzi e ragazze presenti (una media di più di 300 presenze al mese), abbiamo seguito con gli assistenti sociali 1029 casi di ragazzi e ragazze, abbiamo parlato con le loro famiglie, i loro vicini, i loro capi villaggio o quartiere. Abbiamo assicurato il ricongiungimento familiare di 262 ragazzi e ragazze e li abbiamo seguiti e sostenuti nel reinserimento scolastico e lavorativo. Abbiamo formato 50 magistrati, 120 membri della polizia e 120 assistenti sociali.

Abbiamo svolto una ricerca sulle condizioni dei ragazzi e ragazze in carcere in 17 Province del paese con 352 persone intervistate, ricerca che è servita a portare all’attenzione del governo Afghano e dei partner internazionali il bisogno di riforma e sostegno a questo specifico settore visto i vertiginoso aumento (100%) della presenza dei minori in carcere dal 2008.

Oggi l’Afghanistan è di nuovo ad un bivio che porterà il paese e l’intera area, o verso il baratro della guerra e del fondamentalismo, o verso la ripresa. La sfida è enorme e abbiamo una responsabilità enorme, quella di fare il tutto il possibile per sostenere il cammino verso la pace.

Grazie.